31 maggio 2020 – Pentecoste

La liturgia della parola di oggi ci propone il dono dello Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Risurrezione secondo il racconto degli Atti, i doni dello Spirito secondo la prima lettera ai Corinzi e il soffio dello Spirito Santo sui discepoli secondo il racconto di Giovanni.

 

Prima  lettura  (At., 2, 1-11)

Il racconto dell’evento della Pentecoste è un punto di arrivo già preparato dalla conclusione del vangelo di Luca (Lc., 24, 49) e dal vangelo di Giovanni (Gv., 20, 22): il dono dello Spirito Santo come potenza promessa dal Padre (At., 1, 4. 5. 8).

Come per Gesù, all’inizio del vangelo (Lc., 4, 18), così anche per la Chiesa la discesa dello Spirito Santo conclude il tempo della preparazione e inaugura quello della missione.

Gesù risorto invia lo Spirito Santo promesso dal Padre e con la sua effusione si apre la missione della Chiesa a tutte le nazioni, iniziando da Israele.

 

Compiendosi il giorno della Pentecoste (2, 1)

L’autore degli Atti situa il dono dello Spirito nel giorno della Pentecoste.

In origine la Pentecoste era la festa del raccolto, celebrata sette settimane dopo l’inizio del raccolto (Dt., 16, 9-10; Lv., 23, 15-16).

Nel giudaismo più antico si contavano le sette settimane o il cinquantesimo giorno partendo dalla Pasqua. Dopo la distruzione del tempio nel 70 d. C., non potendo più portare i doni al tempio, la festa assunse un altro significato e divenne la memoria della promulgazione della Legge del Sinai.

Il nuovo significato della festa, in riferimento alla Pasqua, fu ispirato dalla indicazione cronologica dell’Esodo: Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai (Es., 19, 1).

L’autore degli Atti vuole suggerire che nel giorno della memoria della promulgazione della Legge del Sinai, viene promulgata la nuova legge dello Spirito.

In questo modo Luca inserisce la Pentecoste cristiana nella storia della salvezza di Israele, portandola al suo compimento.

La venuta dello Spirito del Risorto sigilla il compimento della Nuova Alleanza, del Nuovo Testamento, di Dio con il suo popolo.

 

Venne all’improvviso dal cielo un fragore: vento e fuoco (2, 2-3)

Come già per l’Ascensione, Luca per narrare la venuta dello Spirito si serve degli elementi di una vera e propria teofania: il vento impetuoso, che manifesta la potenza promessa dal Padre (1Re, 19, 11; Sal. 104, 4), e il fuoco, come già al Sinai (Sal. 50, 3; Es., 3, 2-3; 19, 18; 24, 17; Is., 66, 15).

L’evento che viene “dall’alto” si manifesta sotto forma di lingue di fuoco.

 

Tutti furono colmati di Spirito Santo (2, 4)

Tutti (pàntes) sono presenti, e sono colmati di Spirito Santo.

A Luca, nell’intero libro degli Atti, sta molto a cuore l’unanimità: i presenti sono uniti non soltanto nello stesso luogo, la stanza alta come luogo di preghiera (At., 1, 14), ma anche e soprattutto con il cuore, nella volontà di amarsi. Lo Spirito viene sempre mentre i discepoli sono riuniti in preghiera (At., 4, 31) o mentre ascoltano la Parola (At., 10, 44).

Furono colmati (pìmplemi) di Spirito Santo: con questa espressione Luca vuole sottolineare che si tratta di un evento fondante, iniziale e unico, che però rimane, continua per sempre nella vita della Chiesa.

Il dono dello Spirito è la novità, la Legge nuova che caratterizza per sempre l’esistenza dei discepoli di tutti i tempi.

 

Cominciarono a parlare in altre lingue (2, 4)

Il parlare in altre lingue, come dono dello Spirito Santo, non è la glossolalia, cioè un parlare estatico, spettacolare, ma il parlare in altre lingue è un parlare comprensibile, intellegibile da tutti, cioè un parlare missionario.

 

A quel rumore la folla si radunò e rimase turbata (2, 6)

Cambia la scena: si radunano gli abitanti di Gerusalemme, giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo (2, 5), qualificati da Luca come uomini devoti (àndres eulabèis), fedeli alla Torah (la CEI traduce: osservanti).

Non si tratta di pellegrini venuti per la festa, ma di residenti (katoikùntes) in città, tornati probabilmente dalla Diaspora per terminare la loro vita nella Terra santa.

A loro è rivolta la prima predicazione apostolica per formare la prima comunità cristiana. L’essere originari di ogni nazione, manifestamente è il segno dell’universalismo del messaggio evangelico, che rispetta la priorità d’Israele.

 

Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio (2, 11)

La parte finale della lettura di oggi riporta il discorso diretto degli astanti con l’elenco delle loro provenienze: un catalogo che fa discutere, caratterizzato da una successione che va da oriente a occidente.

Si tratta di popoli del Vicino Oriente: Luca ha probabilmente utilizzato e completato, a modo suo, un elenco redatto fuori da Israele, elenco che vuole trasmettere al lettore una idea di universalismo.

L’aggiunta dei Romani è dell’autore: tutto il contenuto del suo libro tende a Roma. Luca, redigendo questo catalogo di popoli, forse si ispira alla tavola dei popoli (Gen., 10) oppure enumera le principali regioni della diaspora giudaica.

 

Seconda  lettura  (1Cor., 12, 3-7. 12-13)

Nessuno può dire: Gesù è Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo (12, 3).

Paolo vuole fornire alle comunità da lui fondate e a tutte le comunità cristiane un criterio per riconoscere l’autentica azione dello Spirito.

Lo Spirito è all’opera in ciascuno dei membri della comunità e poter dire: Gesù è Signore è opera dello Spirito Santo in ogni discepolo.

Paolo vuole suggerire quale possa essere il criterio per distinguere gli autentici spirituali dai non autentici: se uno maledice Gesù, non è un autentico spirituale; se uno riconosce Gesù come Signore, allora è uno spirituale autentico.

Uno stesso criterio lo propone Giovanni nella sua prima lettera: ogni spirito che riconosce Gesù venuto nella carne è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù non è da Dio (1Gv., 4, 2-3).

Tra il testo di Paolo e quello di Giovanni vi è una differenza: il secondo parla di spiriti al plurale e invita a distinguere tra i diversi spiriti; Paolo invece parla di spirito di Dio, di Spirito Santo.

Paolo esprime due limiti della autentica spiritualità, uno negativo, chi parla ispirato da Dio non bestemmia Gesù, e un altro positivo: ogni confessione di fede in Gesù Signore presuppone l’azione dello Spirito Santo.

Paolo vuole correggere la concezione di certi “spirituali” che vedono lo Spirito Santo soltanto nei casi sensazionali, miracoli, glossolalia, effusioni profetiche: secondo Paolo, i fatti straordinari non sono l’unico modo in cui si manifestano la presenza e l’azione dello Spirito Santo.

Ogni vero cristiano è un uomo spirituale, cioè animato dallo Spirito Santo, anche se non compie opere sensazionali.

 

A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune (12, 7)

Paolo passa a parlare dei doni, dei carismi (charìsma): nessuno può vantarsi dei doni dello Spirito, poiché gli sono stati donati.

L’Apostolo utilizza il termine ministero (diakonìa, cioè servizio) insistendo sul fatto che è Dio stesso colui che opera tutto in tutti (1Cor., 12, 7).

E a ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per il bene comune (12, 7): dicendo ciascuno, Paolo vuole riferirsi ad ogni membro della comunità.

Più volte nelle sue lettere Paolo afferma un principio di unità nella diversità (1Cor., 8, 6; Rom., 11, 36): nella lettera che leggiamo oggi afferma che vi sono diversi carismi, ma che uno solo è lo Spirito e a conferma porta altri due esempi, la diversità dei compiti (ministeri) a servizio dello stesso Signore e la grande diversità delle attività dei discepoli, che sono però opera dell’unico Dio.

 

Tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo (12, 12).

Cristo non è un semplice uomo, ma è il Figlio di Dio, capace di accogliere nel suo corpo umano glorificato tutti i credenti.

La fede cristiana non è una teoria tra le altre, non è una filosofia capace di entusiasmare la gente: essa ha un rapporto necessario con il corpo di Cristo.

I doni dello Spirito, i carismi, hanno una relazione non solo con la ispirazione dello Spirito, ma anche con l’esistenza concreta del corpo di Cristo.

 

Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo (12, 13)

Il battesimo cristiano si compie nello Spirito, anche se il rito si celebra con l’acqua.

Il battesimo nello Spirito stabilisce un rapporto con Cristo.

Paolo menziona poi quattro categorie diverse per farci comprendere che non c’è opposizione, ma accordo tra diversità di membra e unità del corpo: le differenze mantengono sempre la loro funzione.

 

Vangelo  (Gv., 20, 19-23)

La sera della Risurrezione Gesù si manifesta ai suoi discepoli in un luogo non precisato, in cui sono chiusi per timore dei Giudei.

 

Venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse (20, 19)

Giovanni collega la narrazione ai versetti precedenti. Nonostante le porte chiuse, Gesù si trova in mezzo a loro e subito li rassicura.

Il saluto pace a voi oltrepassa qui il suo significato abituale perché la pace che Gesù dà loro è una pace del tutto inedita, una pace che vuole renderli capaci di superare lo scandalo della croce e di superare le ripercussioni di questo scandalo nella loro vita (Gv., 14, 27).

Si tratta di ricordare: Gesù mostra i segni della sua passione e morte; mostra le sue mani e il fianco (Gv., 20, 20) perché possano vedere che non è uno spirito o un fantasma.

L’evangelista vuole anche sottolineare, ancora una volta, che la risurrezione suppone la croce e che la passione e la croce sono con la risurrezione un unico mistero.

 

Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi (20, 21)

Gesù trasmette ai discepoli la missione affidata dal Padre stesso a lui.

Gesù se ne va, ma la realtà che egli ha portato dal cielo, che è egli stesso, questa realtà rimane in loro e presso di loro.

 

Detto questo soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo (20, 22)

Come Dio alitò lo spirito di vita nel primo uomo: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gen., 2, 7; Sap., 15, 11), così Gesù soffia oggi lo Spirito sui suoi discepoli: ricevete lo Spirito Santo (20, 22).

 

A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati (20, 23)

Con lo Spirito Santo, è dato loro il potere di perdonare e di non perdonare i peccati.

Questo potere è dato ai discepoli dal Figlio dell’uomo seduto alla destra del Padre.

La Chiesa ha letto in queste parole di Gesù il fondamento del potere di perdonare i peccati con il sacramento della Riconciliazione.

Questo potere non è indipendente dalla predicazione: è la verità che libera dal peccato (Gv., 8, 32-34) e rende puri (Gv., 13, 10; 15, 3).

Gesù stesso afferma di se stesso: Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo (Gv., 12, 47).

Questa è la missione dei discepoli: inviati affinché ogni uomo possa essere salvato, guarito, liberato, attraverso le loro azioni e le loro parole che portano gli uomini ad essere capaci di giudicare se stessi: chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna (Gv., 12, 48).

 

Alcune sottolineature per la meditazione

  1. Più effusioni dello Spirito Santo?

Luca colloca in giorni precisi sia l’Ascensione, sia la Pentecoste, che sono aspetti, diversi e complementari, dell’unico mistero pasquale: Luca (come già ricordato domenica scorsa) periodizza la storia della salvezza.

Secondo il racconto dei vangeli, lo Spirito è stato alitato sui discepoli fin dalla sera di Pasqua, mentre il racconto degli Atti situa l’effusione dello Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua (At., 2, 1-4).

La effusione dello Spirito a Pasqua, a Pentecoste e le successive effusioni raccontate dagli Atti sono i segni di una stessa realtà che è il modo di essere presente di Gesù dopo la sua glorificazione (Gv., 7, 37-39).

Le effusioni dello Spirito Santo a Pasqua, a Pentecoste e nelle successive occasioni raccontate dagli Atti non sono informazioni cronologiche, ma simboliche, soprattutto per Giovanni, poiché per lui le successive manifestazioni dello Spirito vengono tutte dalla stessa Ora.

Il giorno di Pasqua i discepoli ricevono lo Spirito in vista della loro missione: lo stesso Spirito ritorna su di essi nel momento della costituzione del nuovo popolo di Dio e nel momento della promulgazione della Nuova Alleanza, della Nuova Legge, come raccontato oggi dal capitolo 2 degli Atti.

Lo Spirito Santo continua ad assistere (parakalèo) i suoi discepoli ogni giorno e questo rassicura i credenti di ogni tempo.

 

  1. La Pentecoste e la torre di Babele.

I Padri della Chiesa, commentando il racconto della Pentecoste riportato dal libro degli Atti, lo interpretano come il rovescio dell’episodio della torre di Babele (Gen., 11, 1-9).

Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra (Gen., 11, 9), mentre nel giorno della Pentecoste Luca narra: come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? (At., 2, 8).

Ed ancora: li udiamo parlare nelle nostre lingue (At., 2, 11).

L’annuncio del vangelo fa ritornare alla unità, con la differenza, però, che, nel racconto degli Atti, i popoli non ritrovano l’unica lingua perduta a Babele, ma i discepoli ricevono la capacità di testimoniare in tutte le lingue l’unico vangelo, la capacità di tradurre in tutte le culture l’unico vangelo: una unità nel rispetto della diversità.

La Pentecoste ci invita a non confondere l’unità con la uniformità: l’uniformità appiattisce e tende ad eliminare le differenze, l’unità invece le valorizza per la buona riuscita del progetto di Dio che fin dal principio ha messo mano alla Creazione separando e non uniformando.

 

  1. Il potere delle chiavi

A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati (Gv., 20, 23).

Vi è un ruolo decisivo della Chiesa in quanto istituzione di salvezza strutturata attraverso dei ministeri: se il dono divino della riconciliazione passa attraverso una diaconia umana (2Cor., 5, 18-20) e se questa diaconia non è esclusivamente riservata ai ministeri ordinati, non si può negare che spetta ai ministeri ordinati esercitare sacramentalmente un atto di riconciliazione. Questo risulta dai testi sulle chiavi (Mt., 16, 19; Mt., 18, 18), sul dono dello Spirito Santo fatto agli Apostoli (Gv., 20, 21-23) e anche dal parallelo tra la remissione battesimale dei peccati […] e la penitenza dopo il battesimo, nei modi che la Chiesa apostolica ha progressivamente riconosciuto. Certamente, bisogna tener conto che l’esercizio del potere delle chiavi è molto variato nel corso dei secoli e può cambiare ancora.

In ogni caso, dobbiamo eliminare l’espressione tribunale della penitenza e qualunque altra espressione che tradurrebbe la stessa concezione. Il presbitero è il ministro del perdono di Dio, non della sua giustizia: egli non può rifiutare di assolvere quando il penitente è ben disposto. Se vi è giudizio, esso riguarda solamente la valutazione di queste disposizioni. In questo e in tutto ciò che fa nello Spirito Santo, il presbitero esercita la funzione evangelica di guarigione dei malati […].

La penitenza forma un tutto è la fusione dell’azione di Dio e dell’azione dell’uomo nella mediazione della Chiesa (Y. Congar, 1971).

 

  1. Spirito Santo e perdono.

Il vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato oggi stabilisce uno stretto rapporto tra Spirito Santo e perdono.

Il Risorto mostra ai discepoli le ferite delle mani e del fianco e dona la pace e lo Spirito Santo.

Perdonare è riuscire a donare attraverso le ferite ricevute.

Perdonare è fare del male subito l’occasione di un bene donato.

È creare pace con un sovrappiù di amore più forte dell’odio e della violenza sofferti.

Il Risorto ha vinto in se stesso, con l’amore, il male patito. Manifestando ai discepoli la continuità del suo amore nei loro confronti e nei confronti di chi gli ha fatto del male, comunica loro anche la via per partecipare alla sua vita di Risorto: vincere il male con il bene, rispondere alla cattiveria con la bontà, far prevalere il perdono sulla vendetta e sulla rivalsa.

Prima di insegnare la capacità di perdono nei confronti di altri, lo Spirito insegna al credente a riconoscere il male che abita in lui e a vincerlo con il bene, a vincere le tenebre con la luce.

È opportuno avere ben presente che la strada umana del perdono esige tempo, anche cronologico: è un cammino lungo, a volte faticoso, perché per perdonare occorre rinunciare alla immediata reazione di rispondere al male con il male.

Per perdonare è necessario riconoscere che si soffre per il male subito e che quel male ci ha davvero privati di qualcosa.

Perdonare passa anche attraverso il raccontare a qualcuno il male subito, dare un nome a ciò che si è perso per poterne fare il lutto, dare alla collera il tempo e il modo per essere elaborata.

Perdonare a se stessi e agli altri significa credere che la mano che ha dato uno schiaffo resta capace di dare carezze, credere che in chi ci ha fatto del male rimane la possibilità, la potenzialità di bene.

Perdonare significa riuscire a fare nostra la parola di Paolo: perdonatevi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo (Ef., 4, 32).

Si può avere sinceramente perdonato qualcuno e continuare a provare dentro di noi un moto di ostilità quando incontriamo la persona che ci ha fatto del male.

Il perdono ha a volte, forse sempre, bisogno del tempo della convalescenza: dopo un intervento chirurgico riuscito, dopo la “guarigione”, abbiamo bisogno di tempi di convalescenza.

Secondo Giovanni, è lo Spirito che con pazienza e fiducia opera questo in noi.

 

Suggerimenti

Segni

Una fiamma che ricordi le lingue di fuoco.

Una icona o immagine della Pentecoste.

 

Per la preghiera

Sequenza della Pentecoste

Vieni, Santo Spirito,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

 

Vieni, padre dei poveri,

vieni, datore dei doni,

vieni, luce dei cuori.

 

Consolatore perfetto,

ospite dolce dell’anima,

dolcissimo sollievo.

 

Nella fatica, riposo,

nella calura, riparo,

nel pianto, conforto.

 

O luce beatissima,

invadi nell’intimo

il cuore dei tuoi fedeli.

 

Senza la tua forza,

nulla è nell’uomo,

nulla senza colpa.

 

Lava ciò che è sordido,

bagna ciò che è arido,

sana ciò che sanguina.

 

Piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido,

drizza ciò che è sviato.

 

Dona ai tuoi fedeli

che solo in te confidano

i tuoi santi doni.

 

Dona virtù e premio,

dona morte santa,

dona gioia eterna.

 

Per la meditazione

  1. Guardini, Il Signore, Milano-Brescia 2018: Nello Spirito Santo (pp. 571-576); La fede e lo Spirito Santo (pp. 577-583); La Chiesa (pp. 607-613).