26 aprile 2020 – Terza Domenica di Pasqua

Prima lettura (At., 2, 14. 22-33)

La prima lettura di oggi è una parte della “predica” che Pietro tiene nel giorno della Pentecoste riportata dagli Atti.

È la prima volta che i Dodici si presentano in pubblico dopo la Pentecoste.

Pietro inizia parlando di Gesù di Nazaret, dei prodigi e dei segni da lui operati e della sua crocifissione e morte. E subito dopo afferma: Dio lo ha risuscitato, secondo le Scritture, citando un salmo di Davide.

 

Una parola pronunciata con autorità

Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così (At., 2, 14).

Pietro pronuncia il suo discorso in piedi, assumendo una posizione di autorità, atteggiamento che normalmente tiene il retore greco o colui che presiede, che ricopre cioè il ruolo di responsabile di un determinato gruppo.

Pietro si fa portavoce anche di coloro con i quali ha vissuto i momenti che hanno permesso loro di divenire testimoni della parola. Pietro parla a voce alta, per far comprendere che quanto sta per comunicare ha una importanza fondamentale: è l’annuncio (kerygma) della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.

 

Opera degli uomini e opera di Dio

Gesù è presentato da Pietro nel modo in cui è stato conosciuto durante la sua vita terrena, cioè come Gesù di Nazaret.

Pietro evidenzia poi il fatto che Gesù, centro del suo discorso e centro della profezia che subito dopo riporta, è stato considerato degno di fiducia presso il popolo, accreditato da Dio per mezzo di miracoli, prodigi e segni (2, 22).

Coloro cui Pietro sta parlando (voi) ben conoscevano tutto questo, ma ciononostante, per mezzo di mani senza legge (cioè di pagani), è stato crocifisso e messo a morte (2, 23).

Ora Dio lo ha risuscitato (2, 24): l’agire del Padre non si fa attendere e risuscita il crocifisso, liberandolo dalla morte.

 

Il compimento previsto da Davide

Più volte in queste settimane abbiamo incontrato l’espressione secondo le Scritture. Pietro cita Davide, riportando alcuni versetti del salmo 16, 8, 11, e applicando a Gesù le parole del salmo: Perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi, né permetterai che il tuo santo subisca la corruzione (At., 2, 27).

Pietro interpella direttamente i suoi interlocutori: Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente (con parrhesia), per far loro intendere che quanto sta per affermare è capace di toccare il cuore degli Israeliti stessi.

Prima Davide era stato citato per riportare le parole del salmo a lui attribuito, ora Pietro afferma apertamente: previde la risurrezione di Cristo e ne parlò (2, 31).

 

Seconda lettura (1Pt., 1, 17-21)

L’autore vuole dare alcune indicazioni ai destinatari della lettera per il tempo in cui vivete quaggiù come stranieri (1, 17).

 

Un padre giusto

L’esortazione vuole evidenziare il nuovo rapporto che i cristiani intrattengono con Dio, che è Padre. I cristiani hanno un rapporto di tale confidenza da poterlo chiamare Padre.

L’espressione chiamare Padre (1, 17) si trova una sola volta nel Nuovo Testamento, proprio qui nella lettera di Pietro.

Anche nel Padre nostro (Mt., 6, 9-13) Dio è chiamato padre. I cristiani, nella preghiera si rivolgono a Dio chiamandolo e considerandolo padre. Questo nuovo modo di relazionarsi al Signore potrebbe indurre alcuni cristiani ad una eccessiva confidenza: per questo l’autore della lettera ricorda la giustizia di Dio e il timore di Dio.

Un timore amante nei confronti di un Padre che ci ama.

 

Una liberazione a caro prezzo

L’autore della lettera richiama l’attenzione dei destinatari su alcune affermazioni ben note ai primi cristiani, infatti dice: Voi sapete (1, 18). Queste affermazioni riguardano il sacrificio di Gesù Cristo.

Il riferimento al prezzo allude al prezzo del riscatto che si pagava per gli schiavi.

Isaia poco prima del quarto canto del Servo sofferente, che abbiamo letto il Venerdì Santo, afferma: Sarete riscattati senza denaro (Is., 52, 3).

 

Vangelo (Lc., 24, 13-35)

Il vangelo della III domenica di Pasqua ripropone il vangelo della messa vespertina del giorno di Pasqua: una delle più belle pagine del Nuovo Testamento.

 

In cammino

Nello stesso giorno nel quale le donne e Pietro trovano il sepolcro vuoto, due discepoli camminano verso un villaggio che Luca individua con il nome di Emmaus, che si trova a 11 chilometri da Gerusalemme: con ogni probabilità si tratta del villeggio che oggi viene denominato El-Qubeibeh, distante circa 12 chilometri dalla città santa.

I due erano in cammino: Luca usa il verbo greco poréuomai, che indica il cammino del fedele nel pellegrinaggio alla città santa, che porta alla meta, cioè al compimento della missione per la quale ognuno è chiamato a vivere.

Essi conversano fra di loro: il verbo utilizzato da Luca dovrebbe essere tradotto “fanno un’omelia”, stanno parlando cioè di qualcosa che sta loro molto a cuore, che merita molta attenzione, qualcosa che non può essere dimenticato. Mentre “fanno l’omelia” discutono animatamente per cercare di trovare una risposta a quanto è avvenuto: un evento che li ha travolti e profondamente delusi.

I due discepoli, nonostante tutto, rimangono affascinati da tutto ciò che hanno vissuto, ne parlano assorti e meravigliati, non comprendono come tutto questo possa essere accaduto.

 

Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro

Luca, nell’incontro di Emmaus, vuole evidenziare che il Maestro è colui che si mette in cammino con i discepoli. Luca usa lo stesso verbo camminare, usato poco prima, per raccontare il viaggio verso Emmaus, ma vi aggiunge un “con” (sunporéuomai) per dire camminare insieme.

Gesù chiede: Che cosa sono questi discorsi che state facendo? (24, 17), letteralmente che vi gettate l’uno con l’altro. La reazione dei due è immediata: si fermano, con il volto triste, e uno dei due risponde allo sconosciuto con una domanda.

Cominciano a raccontare tutto ciò che riguarda il profeta Gesù di Nazaret e soprattutto ciò che essi avevano interpretato di questo profeta: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele (24, 21), secondo una delle attese giudaiche del tempo riguardo al Messia.

I due discepoli, essendo già passati tre giorni, ritengono di non avere più nulla da sperare; riconoscono però che qualcosa di strano è avvenuto: alcune donne e alcuni discepoli hanno trovato la tomba del Maestro vuota, ma lui non l’hanno visto (24, 24).

 

La risposta dello sconosciuto

La risposta dello sconosciuto non si fa attendere: li chiama non pensanti (in greco anoétos, senza senno) e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti (24, 25). Lo sconosciuto li invita a prendere coscienza di avere interpretato quanto loro accaduto con la loro testa e di non avere interpretato gli eventi con il cuore e soprattutto senza tener conto delle Scritture.

Gesù parla ai due in modo serrato e convincente per far loro ricordare non solo le Scritture dell’Antico Testamento, ma anche alcune sue parole, non troppo lontane nel tempo, che, durante la sua vita terrena, aveva più volte ripetuto: il Cristo doveva patire ed entrare nella sua gloria (Lc., 9, 22; 17, 25).

I due non parlano più, ascoltano lo sconosciuto, presi dalle sue parole e dalla sua autorità, come avveniva durante il tempo vissuto con lui (Lc., 4, 32. 36; 5, 24; 12, 5; 20, 2).

Il Maestro spiega e interpreta tutte le scritture che parlano di lui, a partire da Mosè e da tutti i profeti. È una spiegazione / interpretazione che riconduce ogni citazione delle Scritture al Cristo, che incarna il compimento definitivo di esse.

 

Resta con noi perché si fa sera

Giunti nei pressi di Emmaus, Gesù fece come se dovesse andare più lontano (24, 28): i due discepoli lo invitano a rimanere con loro. Essi motivano la loro ospitalità come un gesto di attenzione nei confronti dello sconosciuto: si fa sera e il giorno è ormai al tramonto. Egli entrò per rimanere con loro (24, 29).

Luca narra ciò che avviene a tavola: dopo aver preso il pane, Gesù recita la benedizione e dopo averlo spezzato, lo dà loro.

Il Maestro ripete il gesto dell’Ultima Cena (Lc., 22, 14-20) e ai due discepoli si aprono gli occhi, non solo in senso fisico, ma soprattutto in senso spirituale, cioè con la luce dello Spirito.

Sono gli occhi della fede che permettono di andare oltre il sensibile e il visibile con occhi umani. Gesù risorto non è visibile come lo era durante la sua vita terrena, l’aspetto è altro (héteros), come avvenne per il suo viso durante l’evento della Trasfigurazione: Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto (Lc., 9, 29).

I due allora lo riconoscono, riconoscono che colui che hanno di fronte è il Cristo di Dio e portano così a compimento la risposta di Pietro alla domanda: Ma voi chi dite che io sia? Pietro rispose: Il Cristo di Dio (Lc., 9, 20).

Appena questo avviene, il Maestro scompare: divenne non-manifesto, come letteralmente dice l’aggettivo usato da Luca.

 

Il ritorno a Gerusalemme

Essi si dicono l’un l’altro: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? (24, 32) e senza esitazione si alzano e tornano a Gerusalemme.

Luca, per dire che si alzano, usa lo stesso verbo usato per dire la risurrezione di Gesù (anìstemi, Lc., 18, 33; 24, 7. 46). Nell’incontro a tavola, ciò che i due hanno sperimentato permette loro di alzarsi, di rinascere, di risorgere a nuova vita.

Si alzano e tornano a Gerusalemme.

Per dire il ritorno a Gerusalemme Luca utilizza il verbo upostrèfo, usato per esprimere la conversione. Questo verbo, tradotto in latino convértere, significa girarsi sui propri tacchi, fare una inversione a U, ritornare sulla strada abbandonata: ritornare a Gerusalemme da dove erano fuggiti.

L’incontro a tavola fa loro cambiare testa, mentalità (metanoèin), non pensano più come prima, ma vedono le cose come le vede Gesù: in questo senso si aprirono loro gli occhi.

 

Alcune sottolineature

  1. La fatica del credere.

Innanzitutto il momento cui nessuno sfugge, quello della delusione: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele (24, 21).

I due discepoli, dopo aver sperato, sono costretti a riconoscere la sconfitta totale del loro maestro e fuggono per non subire la stessa sorte, vivendo umiliazione e frustrazione: si erano illusi e ora si sentono falliti.

Gesù cammina con loro per abitare la loro disillusione e condivide con loro il passo della stanchezza e della sconfitta.

 

  1. Il nome del secondo discepolo di Emmaus.

Secondo alcuni studiosi di Sacra Scrittura, l’evangelista Luca cita il nome di uno soltanto dei due discepoli, Cleopa, perché l’altro discepolo sarebbe chiunque legge questo episodio del vangelo di Luca e che in questo modo si inserirebbe nello stesso cammino dei due e vivrebbe la stessa vicenda: lungo la via e nello spezzare il pane.

Il vangelo di oggi non è solo la storia di due discepoli di duemila anni fa: è la nostra storia, la storia di tutti i discepoli che incontrano il Signore sulla loro strada, che sono disposti ad ascoltarlo, ad aprire i loro cuori, che accettano di fermarsi a tavola con lui e che tornano alla Gerusalemme di ognuno di noi, per condividere con altri il loro incontro e la loro esperienza.

 

  1. L’interpretazione dei discepoli e l’interpretazione di Gesù.

Il modo di leggere la vicenda terrena di Gesù e l’epilogo della stessa da parte dei due discepoli è diverso dal modo di leggere la stessa vicenda da parte di Dio e di Gesù.

Per dirlo con termini un po’ tecnici, la cristologia dei due discepoli di Emmaus non è quella che il Padre e Gesù stesso, dopo la Risurrezione, spiegano ai Dodici e che il Nuovo Testamento e la Chiesa hanno trasmesso e trasmettono a tutta l’umanità.

 

  1. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (24, 27).

Il verbo qui tradotto con spiegò nel testo greco di Luca è il verbo diermenéuo, cioè interpretare. Gesù è il primo e il più autorevole esegeta delle Scritture, come Giovanni afferma nel suo Prologo: Dio nessuno lo ha mai visto: l’unigenito Dio, colui che è sul petto del Padre, costui lo spiegò (exeghèomai) (Gv., 1, 18).

La spiegazione / interpretazione delle Scritture che Gesù fa per i due di Emmaus è un insegnamento permanente, per leggere / interpretare le Scritture: Gesù ci insegna la lettura cristiana dell’Antico e del Nuovo sTestamento. Lo Spirito che Gesù ci ha inviato dopo la sua Ascensione, ci insegna ogni cosa (Gv., 14, 26), ci ricorda ogni cosa (Gv., 14, 26), ci conduce alla verità tutta intera (Gv., 16, 13).

 

  1. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (24, 31).

Gli occhi dei due discepoli di Emmaus erano “induriti”, “posseduti” da quanto avevano vissuto.

I loro occhi si aprono, ormai possono vedere “oltre” e possono vedere “Altro”: non hanno più paura, ma si dicono l’un l’altro che cosa hanno provato durante il cammino con lo sconosciuto, poi riconosciuto.

Sentivano il loro cuore ardere dentro di sé quando Gesù aprì alla loro mente le Scritture.

Luca utilizza lo stesso verbo greco (dianòigo) per esprimere sia l’apertura degli occhi (24, 31) sia l’apertura della Scrittura (24, 32): dopo l’incontro con il Risorto, gli occhi si aprono, lo sconosciuto diviene riconoscibile e gli “occhi” possono leggere la parola di Dio (le Scritture) che spiegano il senso pieno della morte e risurrezione di Cristo.

 

  1. Lungo la strada (24, 35).

Già domenica scorsa ci siamo posti la domanda: Dove e come incontrare Cristo risorto? Ed una delle risposte era: Lungo la via.

Lungo la strada si trovano due discepoli. Il loro percorso è quello della tristezza, di un disincanto amaro, di un sogno infranto. Lungo la strada incontrano Gesù risorto, non in un luogo sacro, ma proprio lungo la strada. Già nella parabola del Samaritano Luca aveva usato la stessa espressione (Lc., 10, 31) e senza usare l’espressione lungo la strada Matteo ci dice che possiamo incontrare Gesù in chi ha fame, in chi ha sete, nello straniero, in chi è nudo o malato o in carcere: tutto quello che avete fatto  uno solo di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me (Mt., 25, 35-40).

 

  1. Spezzare il pane (24, 35).

Lo spezzare il pane è il segno identitario della prima comunità, segno di presenza, di condivisione, di ospitalità. La tavola è il luogo in cui Gesù ha detto le cose più importanti ai suoi discepoli ed è il luogo in cui, già nell’Ultima Cena ha condiviso con i suoi discepoli tutto se stesso, nel pane e nel vino, segno della sua morte e risurrezione.

 

  1. Ed essi narravano (24, 35).

Giunti a Gerusalemme, a loro volta, i due spiegano, interpretano (exeghèomai), per gli Undici riuniti ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane (24, 35).

Anche per noi, soltanto dopo esserci alzati, dopo essere risorti a vita nuova, e dopo aver cambiato mente (metànoia), è possibile leggere, interpretare, la realtà, la storia e le Scritture (parole dei profeti e di Gesù), con gli occhi del Padre e con gli occhi di Gesù e, a nostra volta, narrarlo ad altri.

 

 

Suggerimenti

Celebrazione

Potete partecipare alla Messa celebrata dal papa, dal vescovo diocesano o in altra chiesa.

 

Segni

Qualcosa che evochi una strada (anche una conversione ad U) e un pane spezzato.

 

Per la preghiera

Noi ti rendiamo grazie, Padre,

per il tuo Figlio che continua a camminare con noi,

sulle nostre strade di uomini.

Egli rimane accanto a noi,

anche quando i nostri occhi

non sono capaci di riconoscerlo.

 

Noi ti rendiamo grazie per il tuo Figlio,

la tua Parola fatta carne,

perché in lui trovano compimento le Scritture

e noi, con la sua spiegazione, riusciamo a comprenderle.

 

Noi ti rendiamo grazie

perché apri i nostri cuori all’ospitalità

e così il tuo Figlio può entrare nelle nostre case

e sedersi alla nostra tavola.

 

Noi ti rendiamo grazie soprattutto

per il pane che Gesù prende nelle sue mani,

spezzandolo e donandolo egli ci offre

il cibo che sostiene il nostro cammino, umano e cristiano.

 

Per l’approfondimento

  1. Guardini, Il Signore. Meditazioni sulla persona e la vita di Nostro Signore Gesù Cristo, Milano 2005: la Resurrezione, il corpo glorioso, il “venire” e l’andare di Dio (qualche passaggio un po’ “difficile”, ma non fateci caso).