Venerdì Santo

 

La celebrazione della Passione  del  Signore ha una struttura molto sobria ed austera e un contenuto particolarmente drammatico.

L’altare è spoglio ed il luogo in cui si celebra è privo di fiori, immagini, …, l’assemblea è orientata verso la croce.

La celebrazione inizia al buio ed in silenzio. Il celebrante è prostrato o inginocchiato. Poi il celebrante dice l’orazione.

La celebrazione della Passione del Signore si compie in quattro momenti:

  • la liturgia della parola: si leggono il profeta Isaia, la lettera agli Ebrei e la Passione secondo Giovanni
  • la preghiera universale: è questo il solo giorno dell’anno liturgico in cui la Chiesa riprende la forma antica della preghiera dei fedeli (intenzione, silenzio, preghiera del presidente, risposta dei fedeli)
  • la venerazione della croce: anche questo rito è molto sobrio e comporta due gesti, la presentazione (Ecco il legno della croce) e la venerazione, che tradizionalmente si compie con la genuflessione e il bacio.
  • la comunione: il Venerdì Santo la Chiesa non celebra l’Eucaristia. Dopo la venerazione della croce ci si comunica con le ostie consacrate il giorno prima durante la Messa in Coena Domini.

 

Prima  lettura (Is., 52, 13-53, 12)

La prima lettura del Venerdì Santo è il quarto canto del Servo di YHWH: il più lungo e il più drammaticamente alto.

Più ancora degli altri tre canti, il quarto propone, in un modo straordinariamente vicino alla vicenda di Gesù, il ruolo salvifico del Servo stesso.

La sua sofferenza e la sua morte non sono insensate, ma avvengono perché egli ha accettato di prendere su di sé le nostre sofferenze e i nostri dolori (Is., 53, 4).

Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is., 53, 5).

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello (Is., 53, 6-7).

Con ingiusta sentenza fu tolto di mezzo […], sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca (Is., 53, 8-9).

Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento, vedrà la luce […]; il giusto mio servo giustificherà molti: egli si addosserà le loro iniquità […] perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato tra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli (Is., 53, 10-13).

Papa Francesco così ha iniziato l’omelia della Domenica delle Palme:
Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (Fil., 2, 7): lasciamoci introdurre da queste parole dell’apostolo Paolo nei giorni santi, dove la parola di Dio, come un ritornello, mostra Gesù come servo: Giovedì Santo è il servo che lava i piedi ai discepoli; Venerdì Santo è presentato come il servo sofferente e vittorioso (Is., 52, 13) […]. Dio ci ha salvato servendoci. In genere noi pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio. Ma – una domanda – in che modo ci ha servito il Signore? Dando la sua vita per noi. Gli siamo cari e gli siamo costati cari […]. Il Padre ha sostenuto il servizio di Gesù: non ha sbaragliato il male che si abbatteva su di lui, ma ha sorretto la sua sofferenza, perché il nostro male fosse vinto solo con il bene, perché fosse attraversato fino in fondo dall’amore. Fino in fondo il Signore ci ha serviti.

Il Servo sofferente del quarto canto di Isaia non si addossa le iniquità per placare un Dio offeso e assetato di espiazione: non è Gesù che ci salva da Dio, ma è Dio che ci salva in Gesù.

 

Seconda  lettura  (Eb., 4, 14-16; 5, 7-9)

[Cristo infatti] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Dio, che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb., 5, 7-9).

La parola obbedienza ci fa spontaneamente pensare ad ordini, gerarchie, disciplina militare, a volte senza margine di scelta. Il verbo obbedire è traduzione del latino ob-audire, che accentua invece principalmente l’ascolto: ascolto di parole buone, sensate, costruttive, umane o divine, ma a volte anche parole o fatti che alle nostre orecchie e ai nostri occhi umani sembrano assurdi e insensati. Alcune parole del Servo sofferente o di Gesù, in questa settimana, le ascoltiamo come assurde e insensate: con fatica e con ribellione ascoltiamo: Imparò l’obbedienza da ciò che patì.

Il Venerdì Santo, nostro malgrado, ci immerge in due abissi: il mysterium iniquitatis e il mistero del disegno di Dio, il mistero del bene, attraverso vie e percorsi ben diversi da quelli che noi avremmo immaginato pensando a come salvare il mondo.

 

La  passione  secondo  Giovanni (Gv., 18, 1-19, 42)

Ogni anno, il giorno della Domenica delle Palme, leggiamo il vangelo della Passione secondo l’evangelista che si legge in quell’anno, quest’anno Matteo, mentre il Venerdì Santo si legge ogni anno la Passione secondo Giovanni.

 

La chiave di lettura di Giovanni

Volendo dire con una sola parola la chiave di lettura di Giovanni per la Passione, questa parola è senza dubbio gloria. Per Giovanni nella passione di Gesù si manifesta la gloria del Padre.

Per comprendere la chiave di lettura della Passione secondo l’evangelista Giovanni, che il cardinale Martini chiama intelligenza spirituale della Passione, è utile una premessa che riguarda l’intero vangelo di Giovanni:

Vi invito a tenere presente che valgono anche per la narrazione della Passione due leggi ordinarie dello stile giovanneo: la compenetrazione dei piani e lo stile ieratico.

 

La compenetrazione dei piani

Giovanni è solito presentare una grande visione unitaria e contemplativa, in cui sono compenetrati diversi piani l’uno nell’altro. È come se allo sguardo mistico del veggente il piano della vita terrena di Cristo, della sua vita gloriosa, della vita della Chiesa presente (alla quale l’apostolo sta parlando) e della vita della Chiesa futura, fossero di fatto compenetrati e visti tutti insieme. Tale visione comprende quindi, presente, passato e futuro; perciò nel caso della Passione, comprende croce e gloria, la croce nella vita umile del cristiano e la sua glorificazione.

La Passione giovannea va meditata facendo attenzione a questa densa compenetrazione di piani.

 

Stile ieratico

Il racconto della Passione risente dello stile ieratico, maestoso, lento, che è tipicamente giovanneo. I fatti, pur conservando la loro crudezza (ingiustizia della condanna, lo schiaffo, la flagellazione, la crocifissione), vengono trascurati alla luce della realtà profonda che essi contengono. Si potrebbe quasi accusare Giovanni di mancare di sentimento […]; non dimentichiamo però che gli stessi Sinottici ci possono apparire impietosi nel racconto della Passione: se ci pensiamo bene, essi non presentano né un’esclamazione né un’interrogazione del cuore di fronte alla drammaticità degli eventi. Dobbiamo però ricordare che il racconto [della Passione], quando fu scritto dagli evangelisti, era già stato lungamente assorbito e amorosamente meditato: ciò ha fatto sì che il dolore si sia trasfigurato in contemplazione e gli autori neotestamentari ci presentano una riflessione già molto decantata di questi misteri (C. M. Martini, I racconti della Passione, pp. 131-132).

Giovanni ci propone una lettura contemplativa del mistero di Cristo. Vede nella Passione la rivelazione del Dio per noi, il compimento della incarnazione: fino a che punto il Padre si è dato agli uomini nel suo Figlio, fino a che punto il Padre ci ama nel Figlio.

La chiave di lettura può essere articolata in tre temi.

  1. La gloria

La parola gloria è lontana dalla nostra sensibilità e spontaneamente pensiamo a onore, successo, riconoscimenti, omaggi, favori. In senso biblico, sia nel Primo che nel Secondo Testamento, la parola gloria è vicina a presenza o manifestazione.

Un solo esempio dal Primo Testamento: La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni (Es., 24, 16) ed alcuni esempi dal vangelo di Giovanni, in cui il tema della gloria è presente fin dal Prologo:

Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre (Gv., 1, 14).

A Cana vi fu la prima manifestazione della gloria, all’inizio della vita pubblica di Gesù, che lasciava intuire che la gloria si manifestava già in un contesto di umiltà e di servizio:

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Gv., 2, 11).

Dopo Cana, tutta l’attesa della gloria che deve rivelarsi, l’ora è già orientata verso la Passione: questa sarà per Giovanni il vero momento glorioso per eccellenza.

In questa prospettiva dell’ora un episodio è decisivo. Alcuni greci vogliono vedere Gesù:

Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità vi dico: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde […]; se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore […]. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora (Gv., 12, 23-28).

La gloria sta per manifestarsi nella passione di Gesù. Gloria e passione sono per noi un paradosso, che ci porta ad accettare la paradossalità del mistero di Dio fra noi. Gesù dice: Padre, glorifica il tuo nome. La gloria di Dio, la potenza del Figlio, si manifesta sulla croce.

Giovanni con questo paradosso vuol farci intendere ciò che già ha detto all’inizio del suo vangelo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio (Gv., 3, 16).

 

  1. La elevazione

Un secondo tema è quello della croce come elevazione o esaltazione. Giovanni ne parla fin dall’inizio del suo vangelo:

Come Mosè esaltò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (Gv., 3, 14-15).

Questo è proprio lo scopo per cui Giovanni ha scritto il suo vangelo:

perché credendo abbiate la vita nel suo nome (Gv., 20, 31).

Credere ed avere la vita nel suo nome è strettamente connesso con la elevazione di Gesù, ma qui, all’inizio del vangelo, questa connessione ha un carattere misterioso ed enigmatico.

Al capitolo 8 del vangelo, i giudei chiedono a Gesù:

Tu chi sei? […]. Disse allora Gesù: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono e che non faccio nulla da me stesso (Gv., 8, 25-28).

L’elevazione segnerà il momento in cui si conoscerà veramente chi è Gesù, il Figlio dell’uomo, che dice di se stesso: Io sono, che è il nome di Dio.

Nel capitolo 12 del vangelo di Giovanni, che fa da preludio alla Passione, Gesù dice:

E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire (Gv., 12, 32).

Ora Giovanni chiarisce che l’elevazione è l’innalzamento sulla croce.

Il termine elevazione può essere reso anche con esaltazione. L’elevazione di Gesù sulla croce è paradossalmente una esaltazione regale, ma mentre il re innalzato al trono domina imponendosi, Gesù domina attraendo: anche questo paradosso ci fa comprendere come Giovanni abbia lungamente contemplato il mistero del crocifisso quale centro di attrazione della storia, rivelazione del senso dell’esistenza umana e della stessa esistenza di Dio.

 

  1. L’ “ora

Il terzo tema, strettamente connesso ai due precedenti, è il tema dell’ora, che appare già nell’episodio di Cana: non è ancora venuta la mia ora (Gv., 2, 4).

Il mistero dell’ora della gloria di Gesù è presente in tutto il vangelo di Giovanni:

L’ora è venuta in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato (Gv., 12, 23).

Gli dicono i suoi discepoli: Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato […]. Per questo crediamo che sei uscito da Dio. Rispose loro Gesù: Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi, è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo, ma io non sono solo, perché il Padre è con me (Gv., 16, 29-32).

Cosa dobbiamo intendere per ora nella vita di Gesù?

L’ora che accompagna Gesù dall’inizio alla fine della sua vita (desiderio dell’ora, l’ora che sta per venire, che si annuncia, che è venuta) esprime la volontà di dono della sua vita.

Fin dall’inizio egli è pronto a donarsi e tende verso il momento del dono, che sarà la sua ora, cioè il momento previsto dal Padre.

In tutta la sua esistenza, e particolarmente nel vangelo di Giovanni, Gesù rivela se stesso come Figlio abbandonato al Padre, teso a corrispondere al disegno d’amore del Padre, che deve manifestare agli uomini.

Quando questo disegno d’amore chiederà a Gesù il dono della vita, in obbedienza al Padre, sulla croce, sarà giunta la sua ora.

 

Il racconto della Passione secondo Giovanni

La Passione secondo Giovanni attinge alla tradizione precedente, testimoniata dagli altri evangelisti, ma ha alcuni elementi propri: il lungo dialogo tra Gesù e Pilato sulla verità, la presentazione di Gesù al popolo da parte di Pilato, Ecco l’uomo (19, 5), irridente su un piano e profondamente rivelativa su un altro, l’episodio della tunica non strappata, l’episodio della Madre e del discepolo ai piedi della croce, il costato trafitto di Cristo da cui escono sangue e acqua.

Una intensa sequenza di eventi che agli occhi di Giovanni si trasfigurano passando dall’orizzonte storico a quello della salvezza.

Per una lettura meditata della Passione di Giovanni può essere utile aiutare la lettura dei due capitoli che narrano la Passione con una possibile suddivisione del testo in sette scansioni.

 

  1. L’arresto di Gesù (18, 1-12)

Giovanni non racconta l’agonia all’orto del Getsemani, perché trascura i temi della sofferenza immediata, accentuando il tema di Cristo rivelatore. Dell’arresto di Gesù Giovanni sottolinea:

  • un paradosso: colui che è ricercato per essere messo a morte si offre spontaneamente. Lo cercano pensando voglia fuggire, e lui si offre loro: Si fece innanzi (v. 4).
  • Gesù si rivela come colui che va alla Passione nella piena coscienza della sua divinità: Io sono (v. 5). Gli interpreti del vangelo di Giovanni ritengono comunemente che le parole di Gesù Io sono si riferiscono all’identità di YHWH, il cui nome è appunto Io sono. Giovanni ci presenta Gesù che va alla Passione gloriosamente, nella piena coscienza di essere Dio: assumendo la sua identità divina, ci rivela il mistero del Padre.
  • Gesù si preoccupa di salvare i suoi, di coprirli: è il Pastore buono, che difende i suoi e non vuole che soffrano come egli soffre (vv. 8-9).

 

  1. Gesù di fronte ai sommi sacerdoti. Pietro lo rinnega (18, 13-27)

Gesù è condotto di fronte ai sommi sacerdoti Anna e Caifa; la scena si interrompe e si parla di Pietro. Gesù viene interrogato dal sommo sacerdote e si parla di nuovo di Pietro.

Si contrappongono il coraggio di Gesù e la paura di Pietro. Gesù si mostra testimone coraggioso e fermo, Pietro si spaventa e lo rinnega. Gesù si affida al Padre e in lui trova coraggio, calma e dedizione. Pietro si affida a se stesso e crolla per la propria fragilità.

Giovanni sottolinea che Gesù si fida dei suoi:

Io ho parlato al mondo apertamente, ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio […]; interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro: ecco, essi sanno che cosa ho detto (vv. 20-21).

Ma i suoi si tirano indietro.

 

  1. Gesù davanti a Pilato (18, 28-19, 16)

Giovanni si sofferma lungamente sul processo davanti a Pilato: colui (Gesù) che è giudicato regna e giudica. Gli uomini, sia nel processo giudaico che nel processo romano, si accaniscono nel giudicare Gesù e lui, proprio lasciandosi giudicare, si mostra invece il loro giudice e il loro re.

 

  1. La crocifissione (19, 17-22)

Giovanni, anche qui come nel processo, è attento alla regalità di Gesù e insiste sul titolo posto sulla croce, cui dedica molti versetti. È certamente una delle chiavi interpretative del vangelo di Giovanni: l’esaltazione regale di Gesù. Giovanni vuole sottolineare il contrasto tra gli uomini che si agitano per ucciderlo e la regalità di Gesù, che paradossalmente così si manifesta.

 

  1. Il compimento (19, 23-30)

Al momento della morte di Gesù si compiono le realtà della salvezza. Il racconto di Giovanni è estremamente solenne. Si compie la Scrittura: i soldati si dividono le vesti (è questa una delle poche citazioni bibliche sulla quale Giovanni insiste, vv. 23-24).

In due versetti solenni, che attraversano il tempo, la madre di Gesù è donata come madre al discepolo che amava e cioè ad ogni discepolo e ogni discepolo è donato come figlio a sua madre.

Queste parole, nel momento estremo della vita di Gesù, sono il fondamento della maternità di Maria nei confronti di tutti gli uomini.

Con il dono della Madre a Giovanni e ad ogni discepolo, ha inizio la Chiesa.

I pochi amici e le donne ai piedi della croce, chiamati ognuno per nome, costituiscono il nucleo della Chiesa da lui salvata (vv. 25-26).

Gesù può ora pronunciare la sua ultima parola: È compiuto (v. 31).

Per Giovanni, Gesù consegna lo spirito nel momento stesso della morte: e chinato il capo, consegnò lo spirito (19, 30).

È la gloria di Dio che si manifesta, perché attraverso la morte del Signore lo Spirito invade il mondo.

Nel vangelo di Luca lo Spirito è consegnato la sera stessa della Risurrezione (Lc., 24, 49) e poi nuovamente cinquanta giorni dopo (At., 2, 3-4).

 

  1. Il compimento delle Scritture (19, 31-37)

Dopo la morte di Gesù, Giovanni riporta l’episodio dei soldati che non gli spezzarono le gambe (v. 33) e di uno dei soldati che con una lancia gli colpì il fianco (v. 34).

Giovanni, estremamente parco nel citare le Scritture, dopo questi due fatti scrive: Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura (v. 36) e riporta due citazioni bibliche: Non gli sarà spezzato alcun osso (Es., 12, 46) e Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Zac., 12, 10).

Dopo la morte l’ultimo mistero: dal fianco di Gesù escono acqua e sangue.

Il sacrificio pasquale del vero agnello si è compiuto.

 

  1. Il coraggio degli amici (19, 38-42)

Con la morte di Gesù, misteriosamente si rivela il coraggio nel cuore di coloro che gli sono amici, coraggio che non mostrarono durante la Passione.

La gloria di Gesù si diffonde nel cuore degli uomini: inizia sotto la croce con i più intimi che stavano presso la croce di Gesù (v. 25) e si diffonde in altri (Giuseppe di Arimatea e Nicodemo), che prendono coraggio e si fanno avanti per chiedere di poter portare via il suo corpo (vv. 38-39).

Trenta chili di una mistura di mirra e di aloe sono una quantità sproporzionata, che ci dà però la misura della venerazione e del rimpianto di cui è fatto oggetto Gesù, che si è addossato i nostri dolori (Is., 53, 4).

Concludiamo questi spunti di meditazione per leggere la Passione secondo Giovanni chiedendo a Gesù di aiutarci ad entrare nel mistero della sua croce e della sua gloria.

Sono misteri paradossali e difficili. Soltanto la nostra preghiera e la nostra adorazione possono aiutarci a cogliere qualcosa di ciò che il racconto della Passione secondo Giovanni suscita in noi.

 

 

Suggerimenti

Celebrazione

Suggerisco di partecipare alla celebrazione presieduta dal papa in San Pietro venerdì 10 alle ore 18 (Rai 1 e TV 2000).

Segno

Un crocifisso particolarmente significativo o un crocifisso disegnato o fabbricato dai bambini, collocato nel luogo della casa ritenuto più idoneo.

Per la preghiera

Sia in preparazione alla celebrazione delle 18, sia per meditare la parola di Dio ascoltata durante la celebrazione, potete riprendere le letture della Passione del Signore, utilizzando, se lo credete, i commenti che vi ho inviato.

Questo Venerdì Santo, in tempo di coronavirus, è l’occasione per ripercorrere, in modo del tutto inedito, in casa, la Via  Crucis.

Suggerisco di partecipare alla Via Crucis presieduta da papa Francesco in piazza San Pietro alle ore 21 (Rai 1 e TV 2000).

  • Via Crucis 2020 presieduta dal Santo Padre Francesco. Venerdì Santo 10 aprile 2020, Libreria Editrice Vaticana.

Scaricabile gratuitamente dal sito: www.libreriaeditricevaticana.va

Le meditazioni della Via Crucis per il Venerdì Santo di quest’anno sono proposte dalla Cappellania della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova.

Raccogliendo l’invito di papa Francesco, quattordici persone hanno meditato sulla passione di Nostro Signore Gesù Cristo rendendola attuale nelle loro esistenze. Tra loro figurano cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, un’educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia Penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario.

  • Guardini, La via Crucis del nostro Signore e salvatore, Queriniana.
  • Della Torre, Quattro Via Crucis secondo Marco, Luca, Giovanni, Matteo, Queriniana.

Per l’approfondimento

  • M. Martini, I racconti della Passione, Morcelliana.
  • E. Brown, La Passione nei vangeli, Queriniana.
  • Vanhoye – I. de la Potterie – C. Duquoc – E. Charpentier, La Passione secondo i quattro vangeli, Queriniana.
  • Ravasi, Le sette parole di Gesù in croce, Queriniana.